Laboratorio Aperto di Cittadinanza Attiva

Noi abbiamo bisogno di voi

L’inizio della storia

“Attenzione sta per arrivare un centro di accoglienza per migranti!”

Questo e una serie di messaggi successivi ingolfarono nell’aprile 2017 la chat WhatsApp che collega i 190 abitanti di Poggio alla Croce, paesino sulle colline fra Chianti e Valdarno, a 20 km da Firenze.

E pochi giorni dopo:

“Evviva! Abbiamo già raccolto 230 firme contro!”

“Ma contro cosa?” era appunto la domanda che i dubbiosi si ponevano: sapevamo di cosa stavamo parlando? Chi sono dunque i rifugiati? I richiedenti asilo? Quanti sono? Da dove vengono? Per quali motivi? Cos’è il sistema dell’accoglienza? Come vengono distribuite le persone nel territorio?

I dubbiosi presero a riunirsi settimanalmente dopo cena per provare a rispondere a queste domande. Eravamo poco più di una decina appunto. Ma presto emerse che da soli saremmo andati poco lontano. Iniziammo allora ad invitare operatori dei centri di accoglienza vicini per farci raccontare come funzionassero le cose, quali fossero i problemi, quali le soluzioni. Delle volte andavamo a trovarli noi.

Iniziavamo ad orientarci in questo sistema di accoglienza che Luigi Andreucci, presidente dell’Associazione Progetto Accoglienza di Borgo San Lorenzo, definì “sistema escludente”. Nel frattempo partecipavamo alle assemblee paesane dove sindaci (Poggio alla Croce sta fra i comuni di Figline Incisa Valdarno e quello di Greve in Chianti), assessori, operatori della cooperativa destinata alla gestione del centro e, una volta, un funzionario della Prefettura di Firenze, si offrivano pubblico.

Brutti ricordi:

“Le mie figliole non potranno più uscire di casa di sole…”
Un’anziana: “Nemmeno io!”
Un giovanotto, a uno dei due sindaci: “Se mi sfasciano l’automobile me la ripaghi te?”
Una mamma, filmando il sindaco a tre metri di distanza con il telefonino: “Attento a quello che dici perché ti metto su FaceBook…”
Coro: “Portateli a casa vostra!”

Non è nemmeno mancato l’astante portato via dal maresciallo dei carabinieri perché stava infamando il funzionario della Prefettura. O i due rappresentanti della Lega, mai visti prima, che erano venuti a spiegarci le nostre paure e come fosse importante reagire  con energia all’occupazione imminente.

Poi arrivarono. Tale era la tensione accumulata in quei mesi che l’atmosfera tranquilla che seguì l’insediamento nel CAS sembrava quasi surreale, accentuata dal caldo agostano. La temuta astronave con gli omini neri era atterrata ma questi se ne stavano chiusi dentro e non stava succedendo assolutamente nulla.

Noi dubbiosi oramai erano tre mesi che ci stavamo “formando”, era il momento di agire ma non sapevamo come raggiungere i nuovi abitanti del paese! Anche perché, a contribuire al clima di intimidazione, c’era il divieto assoluto di entrare nel CAS, sorta di zona militarizzata. Fu grazie a un intervento esterno che si creò un primo contatto. Alcuni nuovi ospiti del CAS erano stati trasferiti da un altro centro che si trovava in un’altra località e che era stato appena chiuso. La madre di un’operatrice che aveva lavorato in quel centro, coinvolgendo tutta la famiglia, ci telefonò chiedendoci di contattare i ragazzi appena trasferiti per aiutarli in questa transizione. Combinammo di vederci a Firenze per vederci e scambiarci le informazioni. Fu così che il primo contatto con i ragazzi lo avemmo a Firenze perché questi lavoravano lì di giorno.

Rotto il ghiaccio in questo modo, cercammo di organizzare un incontro fra migranti e cittadini del Poggio. Il locale c’era, messo a disposizione da don Martin Bakole, parroco di San Polo in Chianti e Poggio alla Croce, ma non fu semplice organizzare un primo incontro. Per due volte, appena ventilata la possibilità di organizzare un incontro, venne fuori la preoccupazione:

“Dobbiamo sentire se i carabinieri possono venire…”.

No, decisamente no. Presentarsi davanti a questi ragazzi con un carabiniere accanto non si poteva fare: toccò insabbiare la riunione ambedue le volte, per cogliere infine l’occasione una terza volta, quando si presentarono le circostanze favorevoli, all’improvviso, ma senza le “forze dell’ordine”.

Quell’incontro fu un cerchio, 17 di loro e 20 di noi, disposti alla rinfusa. Un foglio attaccato al muro fortunosamente e un pennarello. Ognuno scriveva il proprio nome, paese e lingua di origine. Poi puntava il pennarello verso un altro a caso e quello veniva a scrivere a sua volta. Noi, “studenti”, forse diligenti ma senza pratica, ci rendemmo conto che quello che ci si parava davanti era un universo dove avremmo avuto l’occasione di imparare tanto, molto più che viaggiando per alberghi. Fu lì che nacque l’idea del nome del blog che descrive la storia: “Noi abbiamo bisogno di voi”. Quei ragazzi avevano tanto da darci, in cambio, si spera, di qualcosa da parte nostra.

Già quella prima volta si trovò che in quel gruppo c’era di tutto. C’erano degli analfabeti ma anche ragazzi istruiti, uno si sarebbe dovuto laureare in matematica a breve. Diciassette ragazzi e sei paesi: Bangladesh, Eritrea, Ghana, Mali, Pakistan, Senegal. Diciassette ragazzi e dodici lingue: arabo, bambara, bengali, pulaar, punjabi, soninke, tigrinya, twi, urdu, wolof, francese, inglese. Un mondo. Il mondo a Poggio alla Croce.

Dopo sole due volte il cerchio si trasformò in scuola e, da quell’agosto di un anno e mezzo fa ad oggi, tutti i martedì e tutti i giovedì dalle 5 alle 7 non sono mai mancati né ragazzi del CAS né cittadini volontari. Quando pochi, due o tre di noi, due o tre di loro, quando a gremire la stanza, una ventina. La scuola è nel segno di Barbiana. Non si seguono programmi ma i bisogni degli individui. Delle volte si aiutano negli esercizi che ricevono dalla scuola che il CAS è obbligato a fare loro, ma spesso si cerca di dare loro aiuto utile all’integrazione: cos’è l’ISEE, perché serve, come si fa ad averlo, quali sono i passi per ottenere il permesso di soggiorno, quali documenti sono importanti, cosa significa ciascuno di essi, come si scrive il curriculum, come si appende a un’email, ma lo sai che nel tuo cellulare c’è l’email, lo sai che hai uno spazio dove puoi mettere il curriculum e tutto il resto, che anche se perdi il cellulare quello invece lo ritrovi. Poi la scuola si occupa di trovare loro contatti con la domanda di lavoro locale, per attività stagionali o fisse ma con contratti legali.

Ora le attività della scuola sono sostenute da un progetto finanziato dalla Regione Toscana. Si chiama Laboratorio Aperto di Cittadinanza Attiva (http://lacanet.org) e persegue tre attività principali: 1) la realizzazione di un documentario su come un gruppo di cittadini possa reagire in modo umano, ragionato, volto all’integrazione nel tessuto sociale locale a al reperimento di occasioni di lavoro legali, 2) la generazione di una rete di collegamento che faccia emergere e colleghi fra loro pratiche di accoglienza, da quelle minimali di tipo familiare a quelle più strutturate, 3) la realizzazione di un  corso online gratuito (Massive Open Online Course) per facilitare l’integrazione in Italia – ad esempio cos’è l’ISEE, a cosa serve, come si fa a farlo, quali sono i percorsi e le condizioni per ottenere i permessi di soggiorno, quali le occasioni di formazioni, di che tipologia, a cosa servono, come ci si accede.

L’aspetto più importante del progetto, per come va plasmandosi, è la potenzialità di far emergere una contro-narrazione positiva in contrasto a quella del terrore che domina la mainstream information.

Ma quello che rende veramente significativa tutta la storia e ne motiva i vari sviluppi sono i sorrisi di questi ragazzi, quando entrano a passo spedito nella scuola, quando se ne vanno con un computer ricondizionato sotto il braccio, gli stessi ragazzi che sei mesi prima se ne stavano silenziosi senza guardarti in faccia. Quello che veramente conta sono le relazioni di lavoro con contratti, magari transitori ma sempre legali, che piano piano riescono a trovare, sono le richieste da parte dei datori di lavoro, spesso un tempo diffidenti: “Ce ne sarebbe un altro? Perché Aly è bravissimo…”