Capitano giorni nei quali, alla scuolina, arrivano pochi ragazzi. E allora abbiamo il privilegio di creare il famoso rapporto uno a uno.
C’è chi fa matematica perché deve riempire le schede lasciate dall’insegnante del Cpia per le vacanze di Natale. C’è chi continua a fare grammatica, proponendo esercizi su pronomi e articoli.
Ieri con Dedo ci siamo buttati nella rielaborazione della lettura: lui mi ha parlato del libro che aveva letto, un romanzo incentrato sulla vita e le abitudini della lepre nelle diverse stagioni dell’anno. Mi sono fatta raccontare la storia, come amavo fare da piccola quando stavo male e i racconti mi portavano in mondi lontani.
Non è facile riuscire a restituire un racconto letto in una lingua diversa dalla tua, quando sei in un paese straniero da appena sei mesi e sei arrivato qui senza sapere una parola. Pian piano abbiamo dato forma alla lepre, alla tana in cui viveva, a quello che mangiava e alle abitudini che soleva avere: siamo stati attenti ai tempi verbali e alla concordanza tra nomi e aggettivi, per genere e numero.
Tra un sorso di tè bollente e una costruzione corretta di frasi, è emersa un’altra storia: la storia.
Sono venuta a sapere che uno dei libri che aveva portato, Dedo lo ha ricevuto in regalo. La storia suonava più o meno così:
“C’era una volta un ragazzo curdo, arrivato da pochissimo tempo in Italia dopo mille peripezie e spedito in un piccolo paesino, terra di mezzo tra Figline Valdarno e Greve in Chianti, un esiguo numero di casette adagiate su verdi e morbide colline, dove tutti gli abitanti si conoscono e dove si usa lasciar la chiave nell’uscio “perché fa comodo,che sennò si perde”.
E’ una bella giornata di sole, gli uccellini cinguettano e i colori risplendono, tipico di quella primavera che sta tramutando in estate ma che ancora porta con sé il privilegio della frescura.
Il ragazzo decide di uscire dalla struttura in cui è ospitato per fare una passeggiata: quale migliore occasione per sgranchirsi le gambe e respirare aria buona. Lui non poteva sapere che la passeggiata avrebbe portato a qualcosa di più: ecco, infatti, che incontra due bambine. Il ragazzo sa poco o niente di italiano, ma viene quasi spontaneo salutarle perché il saluto è formato una parola semplice e lui la sa: “Ciao!”
I bambini sono creature estreme, perché estrema è la crudezza della loro spontaneità, nel bene e nel male. E probabilmente non hanno visto in quella parola ricevuta da un ragazzo straniero un pericolo, perché il “Ciao” è semplicemente un “Ciao”, non porta con sé il peso di pesanti pregiudizi e di paure costruite nel tempo.
“Ciao!” dicono le bambine. “Come ti chiami?”
Ecco la scintilla, il contatto.
Ecco la curiosità innata dell’uomo verso il suo simile. Ecco la domanda che permette a due persone di iniziare in maniera semplice a rapportarsi: e quel ragazzo è improvvisamente diventato Dedo, un curdo di 27 anni, arrivato qui con un grosso e doloroso passato da cui scappa e al quale vorrebbe allo stesso tempo tornare.
Ecco la spontaneità dei bambini che vince la primitiva diffidenza dell’adulto, chiuso dentro le sue barricate granitiche: il “ciao” si tramuta in poche e semplici parole di presentazione, coinvolgendo pian piano diverse persone della famiglia.
Quelle passeggiate diventano un rito, di quelli che aiutano una persona provata da forti esperienze a ristrutturarsi pian piano: poi si tramutano in un invito a prendere un gelato tutti insieme. Ed infine si arricchiscono con il dono di un libro.
E finisce che lui il libro lo legge tutto, due o tre volte, riempiendo quaderni interi di parole che non conosce e annotando la traduzione al lato.
E poi capita che possa raccontare la storia contenuta nel libro e di come ne sia venuto in possesso, forse non rendendosi bene conto che di storie, ieri, me ne ha regalate due”.
Bellissimo racconto
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Thank you, Laura, a beautiful story to read from far away and warms my heart!
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Le storie, la nostra forza. E il contatto tra le persone, altra forza che deve continuare ad esserci. Grazie!
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Un’altra storia: “Ciao “ in dialetto veneziano significava “Schiavo tuo” , e ha assunto nel tempo il significato di mettersi a completa disposizione dell’altro. Anch’io vi dico ciao e vi ringrazio di avermelo ricordato.
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