Il 27 febbraio ho avuto la possibilità di passare del tempo con i ragazzi al di fuori delle due ore di scuola. È un evento raro, e per quanto le nostre attività non siano riconducibili a quello che noi pensiamo quando parliamo di classe, banchi e compiti, essere insieme e oltre quelle dinamiche “forzatamente formative” cambia.
Quando parlo della scuolina e dei ragazzi non riesco mai a tradurre in parole il valore che ogni momento passato con loro mi fa guadagnare.
Eppure, ogni volta che capita, la tesi secondo la quale sono io quella che imparo e loro quelli che insegnano, è confermata.
La “lezione” di questa volta riguarda i giochi dei bambini.
E ad insegnarmela è Madou, un ragazzo di 20 anni che viene dalla Guinea – Bissau.
È una persona spigliata, che ti guarda e sorride spesso: mi dice che a casa ha lasciato una sorella più piccolina e la mamma. Ma dice anche che in Africa tutti sono famiglia, non come in Italia dove ci sono solo mamma, babbo e fratelli.
Sorride Madou, quando gli chiedo come sta andando a scuola: lui partecipa con altri ai corsi del Cpia per prendere il diploma di terza media. Afferma di avere qualche problema con l’inglese: “l’italiano è facile, è come il francese. Ma l’inglese no, è difficile. Io capisco qualcosa, ma non riesco a parlare. Tu sai il francese?” Ammetto di essere ignorante anche in francese e lui sorride e mi chiede: “ti fa schifo?” La verità è che non ho mai avuto occasione di impararlo e forse nemmeno la necessità perché mi sono sempre relazionata con l’inglese: ma in momenti come questi vorrei tanto saperlo.
Finiamo a parlare di cosa fanno i bambini nel suo paese: come giocano?
E scopriamo che ad ogni racconto dell’uno o dell’altro, la risposta è sempre: “ma anche da noi c’è questo gioco!”
Prima della generazione fatta di tablet e videogiochi, in una realtà dove la mamma ti diceva di andar fuori a giocare, riscopri il nascondino, l’acchiappino, il tiro alla fune, la campana, le biglie.
E con un fascino unico, dal racconto di Madou vieni a sapere che tutti i giochi elencati hanno in realtà un grande insegnamento di vita: c’è il rispetto di regole e codici d’onore, c’è l’allenamento alla lotta per la difesa e per la sopravvivenza. C’è la trasmissione di una costruzione sociale basata sulla gerarchia, sulla responsabilità e sulla protezione del più debole.
E mentre Malò cerca di capire se il gioco delle biglie viene fatto anche coi tappi, con le risate di Madou che la guarda mimare le azioni, in sottofondo scorgo il piccolo Duccio che viene fatto volare in aria dai due ragazzi curdi.
La risata della nostra mascotte, i gesti teneri e fraterni dei ragazzi e i racconti di Madou si confondono e si uniscono: e per un attimo non ci sono più l’Italia, la Guinea- Bissau o la Turchia.
Esistono usanze e riti sociali che non hanno confini: come il sorriso di un bambino.
Meno male che ci sei tu che riesci a esprimere così bene ciò che noi sentiamo!
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Mai avrei pensato che le parole di un mio alunno Mohamed Joubilia riportate nel giornalino scolastico del 2002/2003 di II B, diventassero così importanti ora.
Il Mediterraneo
Intorno al Mediterraneo
Gira la gente
Felice e contenta
Bagnandosi di qua e di là
Senza fermarsi
Nemmeno un momento.
Il mare sorride
Soltanto a guardarlo
— §embra che brilli
Come una scintilla.
Grazie al pane diviso
Tra una spiaggia e l’altra
Si diffonde subito la felicità.
Sorridendo tutti
Gente, mare, spiaggia
La pace per sempre verrà.
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