Sembrava un’intervista come le altre, invece è stata una cosa molto diversa. Le storie dei CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) che abbiamo sentito fino ad ora sono come delle cartoline. Le figure sono “soggetti”, richiedenti asilo, beneficiari, ragazzi, migranti, etichette che impediscono di raggiungere la dimensione personale – uno vale l’altro. Si descrivono gli aspetti gestionali, se ci sono i problemi, se hanno più o meno voglia di lavorare. Insomma, si applicano i nostri parametri. Ecco, a Borgo abbiamo capito che questa è una mostruosità. 

Anna ci ha portati, Serafina, Elettra e il sottoscritto, a parlare con Luigi Andreini e Patrizia al Villaggio La Brocchi, sede dell’Associazione Progetto Accoglienza, della quale Luigi è il presidente e Patrizia la coordinatrice generale. L’associazione è un importante punto di riferimento, attivo su svariati fronti e promotore di incontri con personaggi quali Don Ciotti, Pietro Bartolo, medico di Lampedusa e, prossimamente, il giornalista Domenico Quirico. Principalmente l’associazione opera attraverso uno SPRAR (Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati) e solo alcuni dei beneficiari sono ospitati attraverso un CAS. Nell’ambito di uno SPRAR l’obiettivo va ben oltre la sussistenza, perché si entra nel merito delle singole storie, laddove possibile tenendo conto del passato delle persone, e si cerca di costruire un futuro che ne consenta il recupero e l’inserimento nella nostra società. Quello che si trova a La Brocchi è infatti un vero e proprio villaggio, dove ci sono sì gli appartamenti da abitare ma ci sono anche altri spazi: un centro documentazione con materiale bibliografico e cinematografico, varie aule attrezzate per riunioni o workshop, un’aula magna per assemblee più ampie – ricavata dall’antica cappella, quando eravamo lì c’era il coro che si stava esercitando – un ristorante etnico, uno spazio con i giochi per i bambini, un ambulatorio dove un pediatra in pensione presta la sua opera, e vari spazi esterni per il gioco e le attività sportive.

Descritto così sembra un paradiso, e per certi versi lo è. Ma Luigi Andreini non fa sconti: lì ci si misura anche con l’inferno, che è quello che molte persone si portano dentro dopo avere vissuto esperienze terribili e prolungate, di quelle che annientano la dignità umana – facile pensare a racconti come “Se questo è un uomo” di Primo Levi. Cercando quindi di far intraprendere un percorso di recupero reale a queste persone è inevitabile che ci si debba misurare con l’abisso che hanno in sé. Non è un caso che nell’associazione lavorino 15 operatori, fra cui psicologi e antropologi. 

La narrazione di Luigi e Patrizia è intensa, intrisa di positività ma intervallata da momenti difficili da digerire, dove bene e male si intrecciano indissolubilmente. Una narrazione che ti fa entrare nella profondità della questione. Per questo è stato utile conoscere uno SPRAR, perché altrimenti non si percepisce la dimensione drammatica delle singole vite. Evidente che la situazione che si prospetta a Poggio alla Croce, in quanto CAS, è diversa, ma conoscere serve, serve sempre.

Dice Patrizia: – Voi, in quanto popolazione potete fare poco, è la cooperativa che deve operare e voi non ci potete mettere bocca, ma quel poco che potete fare è molto importante perché può essere determinante per creare l’atmosfera giusta. Basta un sorriso, uno sguardo franco, imparare i nomi delle persone e usarli, pronunciandoli correttamente, farsi chiamare con i propri nomi. Poi potranno anche essere immaginate interazioni maggiori, partecipazione a iniziative, cene o altro. Ma quello che conta è il clima generale delle relazioni. Quando vieni da situazioni dove la tua dignità è stata annientata anche piccolissimi gesti possono essere utili. Ci ha narrato Patrizia di una donna che aveva chiamato Mario il proprio figlio, perché così si chiamava la prima persona che in Italia l’aveva trattata come una persona normale.