L’enfasi sulla divisione pro-contro dei cittadini è quanto meno inutile. Se proprio vogliamo dividerli in categorie (che poi in realtà sono sempre sfumate) varrebbe più la pena di distinguere fra pessimisti e ottimisti. I pessimisti si concentrano sulla protesta, gli ottimisti tentano da subito di trovare dei rimedi a ciò che sembra inevitabile. E questo non è un problema ma una risorsa: la diversità dei punti di vista serve. Per esempio, la sensazione di sfiducia nella capacità organizzativa di un fenomeno così complesso è stata bene esposta dai nostri compaesani più pessimisti: in realtà tutti, in varia misura, la condividiamo.
Questo blog nasce anche con l’intento di realizzare un osservatorio pubblico come risposta a tale diffuso sentimento di sfiducia: più che riusciamo a nutrirlo e diffonderlo maggiore sarà la luce accesa sull’intera vicenda, di modo che tutti avranno interesse a far funzionare bene le cose. Il messaggio è chiaro, no?
Nell’incontro di lunedì scorso ha fatto bene qualcuno a chiedere se vi fossero “censure” sulla pubblicazione delle storie. Così facendo ci ha dato l’occasione di affermare che abbiamo l’intenzione di pubblicare qualsiasi storia. Anzi, ne stiamo cercando proprio di negative, perché quelle raccontate fino ad ora sono tendenzialmente positive – almeno per noi, per gli “ospiti” è un’altra faccenda. Unica regola: le storie devono essere tutte riconducibili a persone ben identificate e rintracciabili. Laddove queste lo desiderino non ne pubblichiamo qui le generalità ma sono comunque rintracciabili.
A dire il vero, una storia negativa l’abbiamo già trovata, grazie a Elettra, che si è inventata una forma di “giornalismo” particolare, intercettando uno dei tanti ragazzi vaganti nei nostri paesi e offrendogli un cappuccino e un piccolo compenso in cambio di un po’ di informazioni sulla sua condizione.
N è ospitato in un CAS nel paese di P – ne proteggiamo l’identità, chi fosse interessato ai riferimenti precisi può venire alle riunioni del lunedì sera o scrivere a arfunifi.it. N racconta di una vita grama. Il cibo consiste in pasta bianca e due o tre fette di pane e l’acqua dalla cannella è maleodorante. Di carne nemmeno l’ombra. Non hanno mai fatto alcun corso di italiano (sarebbe obbligatorio), non sono mai stati coinvolti in nessuna attività di nessun tipo, se vogliono spostarsi con l’autobus devono ricavare i soldi da quei 2-3 € al giorno che danno loro. Sono diffidati da portare persone all’interno dei locali dove abitano. Questi ragazzi sono semplicemente lasciati vagare e sono di fatto socialmente esclusi perché nella maggior parte dei casi impossibilitati a comunicare utilmente. Il nostro N non sa una parola di italiano e il suo inglese è assai precario, inoltre non sa scrivere. Per quanto riguarda la propria vicenda personale, N ci ha dipinto un quadro che è lo stesso che aveva descritto Luigi Andreini, presidente dell’Associazione Progetto Accoglienza di Borgo San Lorenzo. Le famiglie di queste popolazioni sono solite concentrare le loro risorse sul figlio maggiore, o comunque che si presume più forte e capace, per mandarlo a lavorare all’estero in modo che possa poi supportare economicamente la famiglia. Infatti Andreini ci diceva che devono portare spesso i ragazzi ospitati nel loro SPRAR in paese, presso un centro di trasferimento di denaro perché vogliono inviare i soldi nei loro paesi. Anche il caso di N è uno di questi ma nelle condizioni in cui si trova nel proprio CAS le possibilità di attuare il suo progetto sono evidentemente nulle.
Giusto oggi un nostro conoscente ci ha tratteggiato uno scenario simile riguardo a una situazione in una località non lontana. Quando avremo riferimenti più precisi li riporteremo qui.
Per ora non sappiamo quale sia la cooperativa che gestisce la comunità di N. Riesce tuttavia difficile immaginare che questa sia seguendo correttamente per ogni ospite la preparazione della documentazione necessaria per affrontare la Commissione Territoriale, dove verrà deciso del destino di queste persone: acquisizione dello stato di rifugiato o dispersione in un limbo che nessuno fino ad ora è stato capace di descrivere ma che non è difficile immaginare: clandestinità.