C’è un mondo, vastissimo, di persone che si danno da fare per dare un senso a un’accoglienza che è in realtà un sistema escludente. Persone che parlano poco e fanno molto. E fanno anche per poco, se non per nulla, spesso. Persone che non si curano delle magagne del sistema, non dissipano tempo sui social, non si fanno intimorire dal racconto catastrofico, ma fanno ciò che sembra loro giusto fare. A volte con l’aiuto di un’Idea forte ma a volte unicamente perché sembra loro giusto. Questo non significa che non abbiamo idee sul sistema, che non frequentino anche i social e che non leggano i giornali; significa semplicemente che non si fanno bloccare da tutto questo ma che trovano il tempo per agire, e spesso molto tempo. E sono in grande maggioranza giovani. I sessantenni (l’età di chi scrive) hanno molto da imparare da queste persone.
È un mondo che emerge dalle interviste che stiamo facendo. Cogliamo l’occasione di mettere brevemente insieme queste esperienze, tutte di persone che insegnano italiano ai richiedenti asilo in vari contesti, recuperando anche qualcosa che ci eravamo persi.
Dicevamo in una bella storia dalla Calabria, di Maria Beatrice, studentessa di Scienze della Formazione Primaria che insieme a altri dieci giovani volontari fa scuola a un gruppo di minori sbarcati dalle parti di Tropea e accolti presso una comunità religiosa.
Non avevamo invece ancora detto di Maria, laureata in Scienza della Formazione, dottoranda, che insegna presso il Centro Provinciale Istruzione degli Adulti a Pontassieve, dove ha classi di immigrati che risiedono prevalentemente nel Mugello. E di come queste persone affrontino un viaggio interminabile dalle campagne sopra a Vicchio e Borgo San Lorenzo, a piedi e con i mezzi, per andare a seguire un’ora di lezione a Pontassieve.
E nemmeno di Cristina, Fiamma e David, che seguono una dozzina di ragazzi presso la Comunità di Loppiano, alcuni dei quali si sono esibiti in una band nell’evento organizzato dalla Comunità al Centro sabato scorso a Figline Valdarno. Quella di Loppiano è una situazione particolare, dove si fanno praticamente carico di tutti gli aspetti dell’organizzazione e della formazione.
E infine ieri Ernesto e Francesco, che operano presso l’Associazione Anelli Mancanti di Figline Valdarno, ospitata presso il Centro Sociale Il Giardino. Ernesto insegna elettrotecnica a Empoli e Francesco è uno studente di lettere a Firenze. Ambedue trovano però il tempo per insegnare italiano la sera (21-23) come volontari ai richiedenti asilo al Giardino e in altri luoghi, fra cui presso il CAS di Palazzolo, come avevamo detto altrove. Ci hanno raccontato di una situazione prevalentemente positiva, con alcuni ragazzi che frequentano il Vasari a Figline, uno dei quali sta per conseguire la licenza di terza media, fatto notevole perché lo scoglio linguistico è enorme per queste persone.
Tutte queste esperienze hanno un tratto in comune: la gentilezza e, generalmente, la voglia di imparare degli allievi. Non tutti e non sempre e, soprattutto, non costantemente nel tempo. I problemi emergono quando, dopo un anno o più, arrivano i primi dinieghi, e con questi i primi casi di depressione. Il diniego l’ha avuto anche Sharif, il giovane del Bangladesh divenuto il beniamino della popolazione di Palazzolo.
Pare che a Sharif, nonostante questo, la depressione non sia venuta, ma dipende dall’esito del ricorso. È questo il rovescio della medaglia, perché dopo un anno e più le persone si rendono conto che vie di uscita di fatto non ce ne sono, in caso di diniego. Per ora neanche il rimpatrio -per molti una tragedia – ma solo un limbo. Il niente.
Ma i nostri volontari lavorano lo stesso.