È passato oltre un mese dai primi arrivi e solo da alcuni giorni è stata raggiunta la capienza prevista di 30 persone. Sono accadute molte cose ma non è una mera cronaca quella che ci interessa fare. Tanti episodi erano e sono dovuti ancora alla fase di assestamento; tuttavia, dopo un mese, iniziano anche a emergere fatti più sostanziali o comunque interessanti in prospettiva.
La legge – che va rispettata da tutti, cittadini italiani e non, in tutte le circostanze – e le disposizioni delle Prefetture prevedono regole precise per la gestione dei CAS. Possono piacere o meno ma quelle sono. Quello che emerge è un sistema orientato al mantenimento di standard di sussistenza accettabili nel periodo di attesa delle decisioni delle Commissioni Territoriali, che purtroppo può durare anche due anni. Ma è un sistema che concede poco all’individuo: distribuisce numeri. Può piacere o meno; ai più non piacerà, ad alcuni per un motivo, ad altri per il suo opposto, ma questo è. Le cooperative si muovono all’interno di queste regole.
Allo stato attuale i CAS sono dei luoghi dove possono entrare solo gli operatori delle cooperative, eventuali maestranze da queste incaricate e le autorità preposte. Un cittadino che entri senza averne titolo può andare incontro a una denuncia. Ma gli ospiti dei CAS non sono dei prigionieri, bensì uomini liberi, che devono solo rientrare ad una certa ora della sera, salvo circostanze particolari. Possono quindi recarsi dove vogliono, cercare lavoro e relazionarsi con altri cittadini.
Che margini rimangono quindi, e che tipi di margini? Questo dipende dalle sensibilità individuali, che devono essere rispettate tutte. Per taluni basterà che la “sicurezza” (nostra) sia garantita. Va bene. Altri sentiranno invece il bisogno di tentare vie di integrazione, seppur temporanea. Va bene anche questo.
E cosa vuol dire integrazione in questo contesto? Niente di trascendentale né di particolarmente ufficiale. Semplici atti di convivenza civile, quegli atti che partono dall’abitudine di salutare con un sorriso le persone che incontri, anche se non le conosci. Il fondamento della civiltà, anche al di là di ogni credo e ogni forma di buonismo, come taluni la possono ritenere.
In questo senso sono successe diverse cose e sono quelle che vogliamo testimoniare. Non è poi così difficile stabilire relazioni, specie se si ha curiosità verso ciò che è nuovo ed è diverso.
È per esempio accaduto che per una via assolutamente imprevedibile alcuni di noi abbiano incontrato alcuni degli ospiti bengalesi a Firenze sui loro luoghi di lavoro. È accaduto che non sia stato possibile impedire a uno di questi ragazzi di offrirci a tutti e sette che eravamo acqua e caffè. È accaduto che si sia fatto amicizia andando a mangiare insieme in uno di quei piccoli locali dove abbiamo scoperto che si mangia bengalese. È accaduto che alcuni di questi ragazzi siano venuti a trovarci a casa, e che si sia stati insieme, che si siano aiutati a sistemare i loro computer e installarvi programmi utili. È accaduto che fermandosi a chiacchierare dopo una serata al Poggio si siano portati nella stanza della parrocchia e si sia giocato a ping pong e a calcetto fino a tardi. È accaduto che si sia spiegato loro che possono andare a prendere la chiave da Claudio e Serafina per andare a giocare, riportandola poi nella cassetta delle lettere, cosa che hanno successivamente fatto. È accaduto di scoprire che uno dei ragazzi è laureato in matematica e come sia un assiduo lettore di libri – un altro invece è esperto di tecnologia. È accaduto che alcuni dei ragazzi siano stati visti giocare al campino con i nostri, e che in un caso, uno dei ragazzi ospiti abbia fermato il gioco andando a richiamare un ragazzino di quelli più piccoli del Poggio che era stato precedentemente escluso, e stava guardando la partita dalla rete, ricoinvolgendo anche lui nel gioco – racconto di Valentina.
Viene spontaneo, per deformazione professionale forse, pensare alla creazione di un laboratorio didattico interculturale, quale strumento di facilitazione della convivenza se non dell’integrazione – qui qualche particolare in più.
Ci siamo ricontati, siamo una ventina. Più che sufficiente.
Certo, potremmo fallire. Ma i fallimenti non ci fanno paura, ci fa più paura l’idea di rinunciare a provarci.
Bravo Andreas!
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