Sì, la racconta Laura, che in agosto è venuta due volte la settimana da Pescia per aiutarci…
Grazie Laura, davvero…
Mi sono infilata nel laboratorio aperto di cittadinanza attiva di Poggio alla croce da più o meno un mese. Cerco di farlo in maniera naturale, ascolto, guardo, osservo, parlo. Scambio informazioni ed è più quello che ricevo di quello che posso dare.
Ieri eravamo in tanti, stretti ad un tavolino in una stanzina sotto la chiesa di questo piccolo paesino sperso tra le colline. Un volontario per uno o due ragazzi, ognuno con la propria attività, il proprio metodo, il proprio compito, le proprie esigenze: un laboratorio a tutti gli effetti, basato su un apprendimento individualizzato.
Ieri ho avuto modo di passare due ore con Siragio, un ragazzo di 22 anni che, mi dicono, è arrivato dal Senegal quasi completamente analfabeta. Da novembre ha fatto passi da gigante. Ieri si è presentato con una camicia bianca, che sapeva di talco. Si è messo accanto a me, e con un sorrisone di quelli grandi come una casa mi ha fatto vedere un papier di schede e mi ha detto: “mi aiuti?”. C’erano il verbo “essere” e il verbo “avere”, al presente, da coniugare in base al soggetto. Questo ragazzo legge sillabando: mi ricorda un altro bambino italiano che ho visto crescere e che, a quasi 7 anni, legge allo stesso modo. La differenza è che il bambino, se parlo, mi capisce e certi automatismi li ha nel sangue.
Ieri è stato un pomeriggio interessante: “essere” e “avere” si sono mischiati agli animali (prontamente disegnati su un foglio quando il loro nome non era conosciuto) e alla matematica (“1 elefante….. 4 zampe; 2 elefanti….. ). Vorrei poter far vedere la determinazione di questi ragazzi: quando non si ha l’ausilio di una lingua ponte, ci si aiuta con i gesti, i disegni e i versi: siamo finiti a fare il gatto, il cane, l’uccellino, il topo e l’elefante, come quando insegni gli animali ad un bambino dell’asilo nido. E l’imbarazzo di chi, come me, non è una persona estroversa, se ne va sdrammatizzato dalla risata comune. La cosa bella è che Siragio ad un certo punto si volta e mi chiede: “sei stanca?”. Il verbo essere era al posto giusto, coniugato bene, il tutto per chiedermi se io ero stanca, quando quello sotto torchio era lui. È stato l’ultimo dei ragazzi ad alzarsi, perché voleva finire l’esercizio.
Ieri ho portato le raviole con la marmellata, fatte la mattina stessa con il bimbo di 7 anni di cui parlavo prima e con sua sorella. Alcuni di loro non sanno cosa sia la marmellata, per cui ho pensato che forse poteva essere interessante fargliela conoscere. Premetto che il contenitore è stato messo sul tavolo alle 17 quando sono arrivata, e se non iniziavo a offrirle alle 18, le raviole me le sarei riportate a casa. Non toccano niente che non sia loro, almeno che non siano invitati a farlo, e tante volte devi insistere. Per alcuni il sapore è troppo dolce, per altri è commestibile, per altri ancora erano buone. Poi c’è Willy, un simpatico signore dell’America latina, che mi ha chiesto la ricetta. Dice che non ha mai imparato a fare i dolci italiani. E poi c’è Ayhan, un ragazzo curdo di cui ho il contatto whatsapp, che mi ha scritto “Ciao, era delizioso, grazie. Ci vediamo martedì”.
Ieri questi ragazzi mi hanno ricordato che non si dovrebbe dar mai nulla per scontato. Che un grazie inaspettato è uno dei regali più belli, e che vado lì perché in realtà non sono io che insegno a loro, ma loro che insegnano a me.
Oggi ci ripenso, e non sono riuscita a dire la metà delle cose che ho sentito e provato. Ma ho la certezza che sto andando nella giusta direzione. E che quindi a tutta quella gente che grida all’invasione, potrei raccontare le storie di queste persone, gli orrori che hanno vissuto e le parole che smettono di uscire quando si fa spazio un sorriso amaro e le lacrime fanno capolino per una frazione di secondo. Ma poi mi ricordo che siamo quasi assuefatti da tutto questo, dalle “solite storie” di povertà e miseria che accomuna ognuno di loro. E quindi rispondo così, con il sorriso di Siragio mentre sillaba la parola “evidenziatore” e il “grazie, a martedì” di Ayhan.