Perché lo fate?
In questi mesi mi è stato chiesto più volte “perché lo fai?”. L’aspetto più lampante sono i km che intercorrono tra me e la scuolina (170 circa tra andata e ritorno): tutte le volte che me lo fanno notare sorrido perché, se penso a Poggio alla Croce, la distanza è l’ultima cosa che mi viene in mente. Penso a come arrivarci, programmo il tempo per farlo, incastro i due incontri settimanali nei vari impegni, ma la distanza non è un ostacolo. A volte è fatica, quando la giornata inizia presto e quando tutto è frenetico. A volte è una scusa dettata dalla pigrizia di chi, come me, soffre il grigio del mal tempo e il brutto della stagione fredda. Ma provo sempre una certa difficoltà nel rispondere al “perché lo faccio”, al perché ho la voglia e l’entusiasmo di andare fin lì due volte a settimana. Vorrei rispondere “vieni con me una volta, così capisci”.
Spesso è complicato riuscire a spiegare le piccole cose: sensazioni, sguardi, emozioni, colori, profumi, gesti. Sono un qualcosa di agito e vissuto che viene sminuito quando provi a descriverlo.
Sono arrivata da pochi mesi e ogni giorno che passa comprendo una briciola in più dell’enorme scommessa personale di ognuna di queste persone.
Gli abitanti di questo piccolo paesino, tra il collinare e il montagnoso, hanno deciso di mettersi in gioco. Hanno deciso non solo di prendere posizione davanti ad un evento come l’arrivo di questi ragazzi, ma da più di un anno contribuiscono personalmente alla cura delle relazioni.
Sono in prima linea, sono in trincea.
Il cuore di tutto questo sono loro, le relazioni. Sono quei rapporti che pian piano si sono creati e che giorno dopo giorno mutano, si ampliano, si intensificano, si specificano, si determinano, si arricchiscono, si approfondiscono, si modellano. Chi di quel paese (così come le persone che vengono da fuori) mette a disposizione il proprio tempo, in realtà fa molto di più: costruisce quella rete senza la quale l’individuo è perso.
E quando chiedi a loro “perché lo fanno”, tra le varie risposte (l’impegno politico, civico, sociale per alcuni; per altri di matrice cattolico cristiana, è un tendere la mano a chi ha bisogno di noi) una mi ha sempre colpito: una persona, una volta, mi ha risposto che i ragazzi li hanno riportati alla vita. Hanno invitato queste persone ad uscire dai propri nuclei familiari ricreando un senso di comunità. L’unione verso un obiettivo comune, la routine delle due volte a settimana che poi si estende a cene e gruppi Whatsapp, in linea con la modalità social della nostra epoca.
Poi vedi l’orgoglio negli occhi della Paola che ti racconta di come Salif sia riuscito, a dispetto delle sue paure, a guardare autonomamente gli orari del pullman e a tornare a casa. E senti la contentezza nella sua voce quando ti dice che lui le ha mandato quel messaggio che lei non ha osato chiedergli, per dirle che era tornato e che non c’erano stati problemi.
Poi leggi il messaggio di Siragi che immancabilmente arriva ad ogni viaggio di ritorno, per sapere se sei arrivata a casa e se è andato tutto bene.
Poi senti Aly, che al telefono dice che domani ti chiamerà per raccontarti il secondo giorno di corso per diploma di scuola media al CPIA di Figline e ti ringrazia mille volte per avergli telefonato.
Sono queste le piccole grandi cose che non riesco a rendere bene: sono i gesti di cura reciproci, sono le relazioni umane costruttive, è la genuinità di chi si dice a vicenda “a me importa di te”.
Capite bene che i chilometri sono poca cosa.
scritto dal cuore!
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Grazie Laura per le tue parole
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