Progetto approvato con D.D.R. 18515/18 con il contributo di Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e Regione Toscana
Nella prima riunione del progetto abbiamo condiviso le linee generali delle attività che intendiamo svolgere. Raccontiamo qui quanto detto per completare la videregistrazione della riunione [1], focalizzando l’attenzione sulle tre attività principali.
1. Documentario
Il progetto è nato in seguito all’idea di Matteo Morandini di produrre un documentario sulla storia di accoglienza Poggio alla Croce. È una storia paradigmatica: un gruppo di cittadini minoritario risponde in modo “normale” ad una reazione di pancia generalizzata. Le reazioni impulsive di rifiuto sono ben propagandate dai media, le azioni “normali” quasi per nulla. Ma il documentario non mira a raccogliere le storie dei migranti, che sono già state raccontate ottimamente da tanti autori, come ad esempio in Esodo da Domenico Quirico o in Non sapevo che il mare fosse salato da Nandino Capovilla e Betta Tusset . Quella che si vuole raccontare è la reazione “normale” che tanti cittadini mettono in atto a fronte di fatti che investono i propri territori, a prescindere dalle proprie credenze o dalle proprie competenze. Non è quindi nemmeno questione di mettere in luce le virtù dei cittadini di Poggio alla Croce, che sono come tutti gli altri, bensì di raccontare un modo di reagire molto diffuso ma poco raccontato dai media.
Il documentario, al di là del valore in sé che potrà eventualmente avere, si inquadra in un’azione narrativa della quale anche questo medesimo blog rappresenta un elemento, azione che si vorrebbe fosse contagiosa. La narrazione è lo strumento che può collegare tutto ed è il solo che può far percepire come l’insieme delle testimonianze e delle azioni possa produrre qualcosa che è nuovo e superiore rispetto alla loro mera somma. Non si tratta, per carità, di farsi molti selfie, bensì di cercare di produrre, con mezzi testuali e multimediali, un discorso articolato che racconti la storia in divenire.
2. Rete
La rete è un concetto abusato ma qui ci fa comodo. La definizione minima è quella di un insieme di nodi collegati fra loro ma quella che ci interessa è un’idea di rete viva, cioè in grado di generare se stessa e quindi di crescere autonomamente. Per nodi qui intendiamo realtà di accoglienza in senso lato: dall’esperienza individuale – famiglia che “adotta” un migrante cercando di accompagnarlo nell’integrazione – all’azione strutturata di un’associazione o di una cooperativa. Il fine è quello di creare un collegamento fra realtà del genere, al fine di portarle alla luce e di favorire lo scambio di idee e di pratiche. La capacità autogenerativa dovrebbe derivare dall’adesione spontanea di nuovi nodi alla rete.
La tesi specifica del progetto è che un effetto del genere si possa ottenere grazie a due componenti: uno strumento web adeguato, ovvero che faciliti al massimo l’ingresso di nuovi nodi nella rete, e una narrazione che renda desiderabile questa azione. Provo a illustrare il concetto introducendo appunto proprio lo strumento che pensiamo di utilizzare.
Tutti conoscono le crowdmap. Per esempio questa è la crowdmap delle scuole che hanno adottato Free Software in qualche forma.

Il fatto interessante che caratterizza queste mappe è che le persone possono aggiungersi autonomamente in vari modi. Fatto interessante ma mero fatto. Manca la storia.
La storia la possiamo leggere per esempio in questo post: Ushahidi and the power of crowdsourcing, scritto da un ingegnere software, Sergio De Simone. Ushahidi è il software che genera le crowdmap. Tutto nasce dall’idea di una giovane attivista, Ory Okolloh, nata in Kenia da una famiglia di modesta condizione ma molto brava a scuola.

Ory Okolloh si è laureata in legge a Harvard ma ha preferito cercare di rendersi utile nel suo paese ad un ricco impiego in uno studio legale di New York. Nel 2007, in occasione di elezioni accompagnate da molti episodi di violenza mise rapidamente insieme un sistema basato su servizi web liberi e free software per segnalare episodi critici. Nacque così Ushahidi, che in Swahili vuol dire testimonianza, e nacquero così le crowdmap. L’affascinante e travolgente storia di Ushahidi la potete leggere nell’articolo di De Simone ma voglio estrarre una sua citazione di Ory Okollow per illustrare il potere della narrazione, nel senso che ci interessa:
[With social media] ‘Truth’ is not guaranteed – but the idea behind crowdsourcing is that with enough volume, a ‘truth’ emerges that diminishes any false reports.
[Con i social] la ‘Verità’ non è garantita – ma l’idea dietro al crowdsourcing è che oltre un certo volume, possa emergere una ‘verità’ che mette in ombra tutte le notizie false.
Questa affermazione coglie appieno la nostra idea. Ancora più interessante forse è l’articolo originale di Ory Okolloh citato da De simone: Ushahidi, or ‘testimony’: Web 2.0 tools for crowdsourcing crisis information.
Bello anche l’orgoglio di avere prodotto in Kenya qualcosa che ora tutto il mondo sta usando: Ushahidi is Celebrating our 10 Year Anniversary!
E noi cosa stiamo facendo ora? Michela Allegretti, l’informatica della compagine, sta installando Ushahidi, scaricato nella versione Free Software su un servizio di hosting. Siamo nella fase di valutazione riguardo alla versione di Ushahidi da utilizzare e riguardo al servizio di hosting. Appena avremo un prototipo funzionante ne riparleremo.
3. Formazione
La produzione di documentazione e la creazione di una rete viva si nutrono vicendevolmente ma c’è un altro aspetto che non si può ignorare in un progetto simile e che molto naturalmente si integra con i due precedenti: quello della formazione. Esplorando e conoscendo il mondo dell’accoglienza si rimane colpiti dalla difficoltà a reperire informazioni utili e dall’enorme spreco di risorse che si verifica in questa Torre di Babele dove ognuno cerca faticosamente la propria strada. Questo vale per i migranti come per l’universo di operatori che, con svariatissime competenze si adopera per fare qualcosa di utile. Innumerevoli volte vengono ripetute le stesse domande per ottenere, peraltro non necessariamente, le stesse risposte. Domande, ansie, risposte reiterate chissà quante volte in tutto il Paese. Le recenti disposizioni governative, destinate a trasformare quello che era un fenomeno complesso, ma probabilmente governabile, in una bomba sociale, sono destinate a rendere ancora più assordante il caos informativo.
Intendiamoci, quella di accedere alle informazioni giuste e, soprattutto, di ottenere le competenze adeguate per vivere e lavorare è una vera e propria emergenza che oggi investe tutte le attività umane. Prova ne sia l’esplosione e polverizzazione delle offerte formative, sia nel campo dell’istruzione superiore convenzionale – dove oggi si deve intendere con questo preparare ad esempio filosofi ma anche infermieri – come in quello del cosiddetto lifelong learning. Uno dei fenomeni più eclatanti insorti per via di tale emergenza è quello dei Massive Open Online Courses (MOOC).
I MOOC sono nati nel 2007. Il primo esperimento raccolse circa 200 iscritti, il secondo, nel 2008, ne raccolse alcune migliaia. Il New York Times definì il 2012 l’anno dei MOOC. Oggi i MOOC, offerti attraverso particolari piattaforme web sia da provider pubblici che privati, vantano più di 80 milioni di iscritti, 800 università coinvolte e 9000 corsi offerti. La domanda è possente e tutti gli atenei cercano di intercettarla, seppur in un contesto di grande incertezza perché lo scenario è nuovo, un territorio da colonizzare ma nessuno ha chiara la ricetta vincente. Quella che è chiara è la domanda: molto ampia, variegata, proveniente da individui che, per una grande varietà di motivi, non si iscriveranno mai a un corso universitario normale, vuoi di laurea, master o altro.
Oggi i MOOC sono offerti in una varietà di modelli ma, tendenzialmente, la maggior parte dei contenuti sono liberamente accessibili a chiunque, talvolta per poter eseguire i test di valutazione occorre pagare una quota, quasi sempre anche il conseguimento del certificato di completamento comporta un costo, sempre che il profitto sia adeguato.
Anche l’Ateneo fiorentino si sta muovendo. È in corso la definizione di un accordo di collaborazione fra l’Università degli Studi di Firenze e il Centro Federica Weblearning dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Nel frattempo abbiamo già fatto partire due MOOC [2] e altri cinque sono in gestazione. Uno di questi lo cureremo proprio Laura ed io ed avrà per titolo “Vivere in Italia: conoscenze e servizi per l’integrazione”. Il corso rappresenterà il primo passo di questa terza attività del progetto, orientata alla formazione. Chiunque ne potrà usufruire a titolo gratuito. Dovrà fornire informazioni utili per comprendere il significato dei documenti fondamentali – passaporto, carta d’identità di vari tipi, certificato ISEE – come si fa ad ottenerli e a chi ci si deve rivolgere. Dovrà spiegare quali sono gli iter necessari per il conseguimento di eventuali status di protezione, ovviamente in armonia con le normative vigenti – informazioni che saranno soggette a frequenti aggiornamenti, stante lo stato delle cose. Vi si dovranno trovare informazioni relative a corsi utili per l’integrazione, di lingua o altre discipline specifiche, quali i requisiti per accedervi e quali i titoli conseguiti. La prima versione è in italiano ma in prospettiva si prevede di crearne versioni nelle principali lingue franche, inglese, francese, Bambara, Arabo ecc.
Recupero e riciclo di vecchi computer
Una delle attività particolari che è stata portata avanti nel primo anno di vita della scuola di Poggio alla Croce è stata quella del recupero di vecchi computer da ricondizionare con Linux e da distribuire a chi ne ha bisogno. Molti sono stati distribuiti fra i ragazzi del CAS e alcuni sono stati dati a famiglie italiane.
Grazie al partner Auser Figline Valdarno è comparsa anche la possibilità di recuperare computer al fine di attrezzare aule per la formazione di cittadini italiani ai fini del ricollocamento nel mondo del lavoro.
Intendiamo portare avanti e estendere questa attività durante il progetto. A tal proposito, sarebbe interessante provvedere a dei punti di raccolta che risultino agevoli per coloro che volessero conferire i loro vecchi computer; come ovviamente la disseminazione delle informazione relative a questa opportunità. I requisiti sono semplici e concernono l’età: meno di dieci anni per i fissi e meno di cinque anni per i portatili.
[1] Videoregistrazioni:
[2] A titolo di esempio:
L’ha ribloggato su Blog di Andreas Formiconi.
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