Le relazioni sono alla base della vita.
Senza rete non si sopravvive: lo si vede nelle forme più primitive dei branchi di animali, è evidente nella società umana. In entrambi i tipi di organizzazione povertà e debolezza sono spesso causa ed effetto dell’emarginazione. Da TRECCANI, il termine emarginazione è definito come “esclusione da una società, da una comunità, dalla partecipazione ai diritti e ai benefici di cui altri godono e che dovrebbero essere comuni a tutti: […] e. sociale, come esclusione dal ciclo produttivo e dal mondo del lavoro, con conseguente isolamento individuale e di gruppo; l’e. culturale provocata dall’analfabetismo e dall’indigenza.”
Ci troviamo in un momento storico particolare, dove certe reminiscenze storico-culturali emergono in maniera preoccupante.
Vorrei portare all’attenzione del lettore alcune dinamiche che vengono sapientemente silenziate: abbiamo già parlato in un precedente articolo di questo blog delle due circolari emesse dalla prefettura di Firenze con le quali si limita la libertà degli ospiti dei CAS e se ne viola la privacy controllando la corrispondenza privata.
Il complesso intreccio di problemi politico-sociali e la contemporanea incapacità di veicolare un messaggio onesto e veritiero su certi temi da parte di amministrazioni locali, regionali e nazionali hanno portato ad individuare luoghi estremamente fuori mano dove relegare tutti coloro che si affacciano al lungo iter per ottenere permessi di soggiorno, costringendoli di fatto ad un isolamento forzato.
Le enormi penalizzazioni, che il nuovo decreto sicurezza impone al complicato processo di integrazione, alimentano emergenze sociali come il numero crescente di persone senza dimora e concorrono alla diminuzione di buone pratiche relative all’accoglienza come la cancellazione dei progetti SPRAR e dell’insegnamento della lingua italiana nei CAS.
Vorrei denunciare le enormi difficoltà nel creare momenti di crescita, confronto e incontro tra gli ospiti delle strutture di cui sopra e i cittadini, i quali non solo lottano contro i pregiudizi dei loro vicini ma si trovano immersi in un sistema “militareggiante” che concorre ad aumentare paura e lontananza.
La dicotomia alla quale il cittadino è sottoposto è parte di un meccanismo perverso: rimbalziamo tra ciò che è legalmente autorizzato e ciò che è umanamente permesso.
Dove sia il limite non è chiaro: quali siano le conseguenze di una scelta piuttosto che l’altra è opinabile.
Chi ci rimette nella pratica è sempre il più debole, mentre chi paga in termini di coscienza siamo sicuramente noi.
Pare giusto domandarci se siamo emarginanti o emarginati.