29 gennaio. Aggiorno dopo due giorni questo post grazie al confronto con vari amici.

Colgo inoltre l’occasione per ricordare come fosse gremita la sala delle Oblate venerdì scorso. Più di 200 persone molto preoccupate che hanno fatto numerose domande. Esiste un sentimento popolare positivo che crede nella risoluzione ragionevole dei problemi, nell’impegno personale, nel confronto onesto delle idee e nelle soluzioni condivise. Esiste un popolo che non è disposto a rinunciare a principi di umanità per sancire i quali molti hanno lottato o hanno dato addirittura la vita.


Un riassunto molto sintetico, si spera con non troppe imprecisioni, dell’intervento dell’Avv. Luigi Tessitore Migranti e migrazioni in Italia: cosa cambia con il nuovo decreto, presso la Biblioteca delle Oblate il 25 gennaio scorso. Sarò lieto di integrare e correggere: commentare qui o scrivere a lab.aperto.poggioallacroceATgmail.com. Chi desidera informazioni complete può leggere la scheda a cura dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione.

Il provvedimento è stato approvato nella forma del decreto legge (DL 113/18), quindi senza dibattito parlamentare: pessima abitudine instauratasi trasversalmente rispetto alle forze politiche negli ultimi anni.

In estrema sintesi, dice Tessitore, tre quarti delle norme del decreto sicurezza potrebbero venire dichiarate incostituzionali nei successivi gradi di giudizio ma ci vorrà molto tempo. Intanto le norme sono legge e come tali vincolano le istituzioni e in parte anche i giudici ma consentono di incassare facili rendite politiche nell’immediato.

Con il precedente ordinamento, esistevano tre tipi di protezione, descritti con maggiori dettagli nella sezione Definizioni di questo blog:

  1. La protezione internazionale che conferisce lo status di rifugiato viene data allo straniero perseguitato nel suo Paese d’origine per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica. Questa c’è ancora.
  2. La protezione sussidiaria viene data al cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno e che non può, a causa di tale rischio, avvalersi della protezione del suo Paese. Ove per grave danno si deve intendere: a) condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte; b) tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante; c) minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. Anche questa è una forma di protezione internazionale ed è tuttora in vigore.
  3. La protezione umanitaria veniva data a soggetti che non possono godere delle due precedenti forme di protezione ma che hanno comunque bisogno di protezione o assistenza perché particolarmente vulnerabili sotto il profilo medico, psichico o sociale. I motivi potevano essere di salute, età, rischio di trovarsi in situazioni di grave violenza o instabilità politica, o in mezzo a carestie o altri disastri ambientali. Questo  permesso veniva dato anche in tutti i casi in cui vige l’obbligo di non refoulement (principio di non respingimento del diritto internazionale – articolo 33 della Convenzione di Ginevra del 1951) ma si era ritenuto che non ci fossero i requisiti delle due forme di protezione maggiore oppure, pur essendovi i requisiti, era presente anche una causa di esclusione.  Questo tipo di protezione è stata eliminata.

Per avere un’idea delle proporzioni fra i diversi tipi di protezione concessi, prendiamo come esempio il 2017 (le proporzioni erano abbastanza stabili negli ultimi anni – dati dal Ministero degli Interni):

  • 8% rifugiati
  • 8% sussidiaria
  • 25% umanitaria
  • 58% dinieghi
  • 1% altro (rinunce…)

Il decreto sicurezza ha sostituito la protezione umanitaria con una serie di forme di protezioni più specifiche.

Protezione speciale

A coloro che hanno presentato domanda di protezione internazionale dopo il 5 ottobre 2018, se la Commissione territoriale valuta che, pur non sussistendo i presupposti per la protezione internazionale, sussiste il rischio di persecuzione o di tortura, viene rilasciato un permesso di soggiorno per “protezione speciale” che:

  • ha validità annuale
  • consente di lavorare
  • alla scadenza può essere rinnovato se la Commissione valuta che continui a sussistere il rischio di persecuzione o di tortura
  • non può essere convertito in permesso per lavoro neanche se il titolare del permesso per “protezione speciale” ha un contratto di lavoro

Per via di quest’ultima caratteristica Tessitore ha chiamato questo tipo di protezione “a imbuto”, perché non dà futuro a chi ne beneficia. Chi non ricade in questa tipologia riceve il diniego.

Il decreto definisce anche altre forme di protezione particolari al di fuori delle procedure d’asilo.

Permesso per cure mediche

Dura finché persiste la documentazione medica attestante un problema di salute grave. Si può rinnovare se si rinnova la documentazione medica. Non si può convertire: è a imbuto.

Permesso per calamità

Viene accordato in presenza di calamità nel paese di ritorno che rendano impossibile il rimpatrio. Vale sei mesi, si può lavorare ma non si può convertire (imbuto).

Permesso per atti di particolare valore civile

Dura due anni, è rinnovabile, si può lavorare, è convertibile. Peccato che in pratica concerne solo casi eroici… ovvero impatto nullo.

Permessi per “casi speciali”

Sono alcuni casi che prima erano ricompresi nella protezione umanitaria: protezione sociale (violenza, grave sfruttamento), violenza domestica, sfruttamento lavorativo. Questi permessi durano un anno, consentono di lavorare e possono essere convertiti in permessi di lavoro o di studio.  Questi permessi durano 2 anni, consentono di lavorare e sono convertibili in permessi di soggiorno per lavoro autonomo o subordinato, ma, alla scadenza, previa valutazione della competente Commissione territoriale sulla sussistenza dei presupposti di cui all’art.19, commi 1 e 1.1, del testo unico immigrazione (cioè rischio di persecuzione per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche, condizioni personali o sociali ovvero rischio di sottoposizione a tortura), se non convertiti, possono essere rinnovati solo come permessi per “protezione speciale”.

Trasformando il permesso umanitario in un’elencazione di circostanze particolari si lasciano fuori una grande quantità di casi. Una stima la possiamo avere ancora dai dati del Ministero degli Interni per il mese di dicembre 2018:

  • 10% rifugiati
  • 5% sussidiaria
  • 3% umanitaria
  • 82% dinieghi

In queste condizioni, è probabile che il decreto sicurezza metterà sulla strada una grande quantità di gente, contribuendo a diminuire la sicurezza anziché aumentarla, perché i numeri dei rimpatri sono modesti, aggirandosi intorno a 6000-7000 persone l’anno, secondo dati ricevuti dal Viminale e riportati da un articolo del Sole 24 Ore (27 settembre 2018).

Il problema sta nel fatto che per effettuare un rimpatrio occorre che esista un accordo con il paese di origine. Per ora questi esistono solo con Tunisia, Nigeria, Egitto e Marocco. Non c’è nessun accordo con i principali paesi di origine dei migranti che sbarcano in Italia.

Non solo, Tessitore venerdì scorso ha ricordato che se una persona non è in possesso di documenti di identità validi del paese di origine ben difficilmente le autorità di quel paese le consentiranno di rientrare.

Ma la propaganda va avanti…


Ringrazio in particolare l’Avv. Simonetta Furlan per le integrazioni introdotte nel testo originale.