1. Anna Laura (Poggio alla Croce…)
  2. Annamaria
  3. Barbara
  4. Claudio
  5. Daniele
  6. Elettra
  7. Gabriele
  8. Irene
  9. Julia
  10. Malò
  11. Paola
  12. Serafina
  13. Valentina
  14. Willy
  1. Alessandra (San Giovanni)
  2. Alessandra (Firenze)
  3. Attilia (San Polo)
  4. Beatrice (San Polo)
  5. Daniel (San Francisco)
  6. Daniela (San Polo)
  7. Eva (Ponte agli Stolli)
  8. Camillo (San Michele)
  9. Giovanna (Lamole)
  10. Laura (Pescia)
  11. Madu (San Michele)
  12. Marcie (Toronto)
  13. Martina (San Polo)
  14. Nezha (Firenze)
  15. Riccardo (Firenze)
  16. Roberta (Pescia)
  17. Serena (Montespertoli)
  18. Simona (Figline)
  19. Susanne (San Michele)
  20. Vittoria (San Polo)

Queste sono le persone che almeno una volta si sono sedute accanto ai nostri ragazzi nella scuolina di Poggio alla Croce. Alcuni una sola volta, altri tante. Alcuni vivono a Poggio, altri sono venuti da luoghi vicini o lontani. Ma tutte differenze trascurabili rispetto al fatto fondamentale: l’accettazione della prossimità.

Queste sono persone che hanno accettato di mettersi un pomeriggio accanto ad un giovane sconosciuto, altro in tutto e per tutto. Provenienza, colore, etnia, religione, cultura, istruzione, lingua. Non con l’imposizione dell’insegnante – ora ti spiego quello che ti serve, oggi facciamo questo – ma con spirito di servizio – di cosa hai bisogno?

Nel segno di Paulo Freire: non l’oppressore che insegna all’oppresso ma l’oppressore che si pone sul piano dell’oppresso; l’educatore che viene educato educando e l’educato che educa nel venire educato.

Nel segno di Don Milani: I care – il tuo problema mi concerne. Non una cattedra ma un lungo tavolo. Non una relazione uno-tanti ma tante relazioni uno-uno, o uno-pochissimi.

La relazione umana si nutre di prossimità. A maggior ragione va ricordato in un’era nella quale politici spregiudicati riescono a seminare odio con grande efficacia, proprio facendo leva sulle relazioni virtuali, ovvero prive dell’attributo di prossimità. La risposta alla barbarie che pare avanzare deve essere questa: la cura della relazione di prossimità.

Questo non comporta la negazione della tecnologia, di Internet, della rete. Al contrario, dobbiamo usare la rete ma questa deve essere finalizzata alla creazione di nuove relazioni di prossimità, non deve essere fine a se stessa. La rete virtuale deve servire a moltiplicare le occasioni di prossimità.

Abbiamo imparato tante cose nei primi due anni di vita della scuolina. Forse la più importante è avere scoperto la quantità di storie di accoglienza espresse dal territorio. Sono quelle che stiamo riunendo nella mappa dell’accoglienza, sempre più un pozzo di San Patrizio: ogni storia che scopriamo ne produce altre. Una ricchezza che vogliamo fare emergere. Una ricchezza fatta di fragilità che non fanno notizia ma che nel loro insieme, nella loro pervasività rappresentano una potenza. Dobbiamo fare emergere questa ricchezza.

Aleggia fra coloro che hanno contribuito alla scuolina un senso di melanconia perché i ragazzi stanno partendo. Ma non è il caso di intristirsi – anche se il sentimento è comprensibile – perché questa sarà un’occasione per rigenerare la scuolina in forme mutate, più ricche e ramificate, che stiamo già scoprendo.

Stay tuned.