“First of all, Africans, we need to get better at telling our stories”

È la tesi di Ory Hokollow. Cresciuta in Kenia in condizioni di dignitosa povertà, i genitori si sacrificarono per pagare la retta di una scuola migliore e finì col laurearsi in legge a Harvard. Vale la pena di farsela raccontare da lei la sua storia .

Un quarto d’ora speso bene:

E sapete, è fantastico. Voglio dire, ci serve una conferenza intera dedicata a raccontare le storie felici di questo continente. Pensateci, davvero. Questo è quel di cui si è parlato qui, principalmente, del ruolo giocato dai media nel concentrarsi solo sulle cose negative. “

La mia tesi è che noi abbiamo lo stesso problema, seppur in condizioni diverse. Ho appreso la storia di Ory Okolloh una decina di anni fa, leggendo Wikinomics (Tapscott & Williams, 2010). L’ispirazione del progetto Laboratorio Aperto di Cittadinanza Aperta per quanto mi riguarda la devo in buona parte a lei. Le attività della Scuolina per migranti, nata in seno al laboratorio, ci hanno fatto capire presto che il territorio pullula di positività che però nessuno racconta. E ciò che non viene raccontato non esiste. Esiste invece, eccome, la narrazione ossessiva della paura.

Così nel laboratorio abbiamo creato la mappa della positività, una crowdmap che attualmente raccoglie oltre 600 testimonianze di accoglienza, in Italia ma anche in altre parti d’Europa. Iniziative istituzionali, di associazioni ma anche storie di accoglienza familiari.

Testimonianza si dice ushahidi in Swahili. Ushahidi è anche il nome di un’azienda no-profit che offre strumenti e servizi per la geolocalizzazione partecipativa di informazioni. L’ha ideata Ory Okolloh per raccogliere testimonianze dirette di espisodi di violenza che funestarono il Kenia dopo le elezioni presidenziali del 2007. Il sistema consentiva di aggiungere punti su una mappa in internet attraverso semplici SMS. Raccolse oltre 40’000 segnalazioni e fu  ampliato rapidamente per affrontare situazioni di crisi, eventi catastrofici e rilevazioni di sofferenze sociali. Oggi viene utilizzato da organizzazioni di ogni tipo in tutte le situazioni in cui vi può essere necessità di dar voce a comunità marginalizzate o in condizioni di emergenza. 

La nostra mappa è fatta proprio con Ushahidi ma è costosa: in risorse di tempo se si sceglie di scaricare e installare su un proprio server il software che è libero (licenza  LGPL), oppure di denaro se si sfrutta il servizio web predisposto – lo stesso modello del sistema di blogging WordPress per intendersi. Tuttavia Ushahidi offre gratuitamente il servizio web ai cosiddetti grassroot movements. Il nostro progetto ha ottenuto questo status per due anni consecutivi ma per un terzo pareva troppo, anche perché la mappa non è cresciuta molto durante la pandemia. Però ci abbiamo provato lo stesso. E abbiamo fatto bene:

There is no need for any payment, we are happy to support you in your work to help your community, I have granted you the license for another year. We are pleased our platform is helping you with your project and we cannot wait to see its growth.Cecila from Ushahidi

Benissimo, torniamo allora al punto. La mappa piace allo staff Ushahidi, che pur ne gestisce centinaia di migliaia. E piace anche a noi quando ci tuffiamo dentro, perché 600 testimonianze diverse di accoglienza e pratiche di advocacy, realizzate da grandi associazioni come da singoli cittadini sono una ricchezza. Tuttavia  non la consideriamo un successo perché abbiamo capito che quello che si vede nella mappa è solo la punta di un iceberg, che vorremmo invece vedere tutto intero, o quasi. Perché succede questo? Perché non sappiamo raccontare le nostre storie, le storie che contano, come dice Ory Okolloh. E non le raccontiamo perché non abbiamo capito realmente il valore della narrazione e nemmeno quello della rete. Il solito paradosso: quando qualcosa gira troppo nella bocca di tanti allora il rischio che non se ne sia capita l’essenza è alto: narrazione, rete… Paradossalmente, il significato vero dei piccoli gesti, il valore della fragilità paiono nulla a fronte del frastuono prodotto della grancassa mediatica che trasforma la complessità in caos, agita totem fasulli, abbindola clienti. Ci si sente piccoli e impotenti. Nel mondo iperconnesso ci si sente disconnessi dal mondo raccontato, scambiato per vero, rinunciando a porre sul piatto la propria realtà, questa sì vera. Non arrivando a percepire che l’unione di una miriade di piccole realtà vere potrebbe fare una montagna, in grado di smascherare quella fasulla.

Delle volte c’è una ritrosia dovuta al comprensibile desiderio di privacy e protezione da un contesto sociale che pare minaccioso. Ed è vero, lo può essere pericolosamente, lo dico per esperienza personale. Qui vorremmo però rassicurare, che di default le testimonianze della mappa sono aggiunte con un grado di riconoscibilità minima, sia nella geolocalizzazione, che è volutamente sbagliata, nel raggio di circa 10-100 km, che nelle informazioni. E se desiderato, queste possono essere private di ogni elemento caratterizzante per divenire completamente inaccessibili al pubblico. Non si sminuisce così il valore delle testimonianze perché quello che conta è il dato aggregato.

La mappa raccoglie vari tipi di informazioni ma qui ci interessano particolarmente quelle delle storie individuali o familiari come quelle delle organizzazioni dedite a favorire e sostenere l’accoglienza familiare. Chiunque può aggiungere nodi alla rete, in autonomia (istruzioni) oppure scrivendo al sottoscritto: arf(AT)unifi(DOT)it. C’è anche una scheda da scaricare e eventualmente diffondere:

Non siamo così ingenui da pensare che basti una crowdmap per fare la differenza, ma non si deve nemmeno rinunciare ai piccoli passi, quando sembrano andare nella direzione giusta. Immaginate di riuscire magicamente a rappresentare tutte le azioni positive, piccole e grandi. Ma fatelo davvero, dopo avere guardato la mappa così com’è e poi chiudete gli occhi… non vale la pena di provare?